ARTISTS
Ludovico Bomben
Francesca Dondoglio
TEXT BY
Giovanni Burali d'Arezzo
COLLABORATION
Galleria Michela Rizzo
ON OCCASION
ArtCity Bologna
ArteFiera 2025
VUOTO-SEMI-VUOTO
30.01-01.03.2025
INTRODUCTION
PRESS RELEASE
CRITICAL TEXT: SOON
PREVIEW
APPOINTMENTS
INFO
COMUNICATO STAMPA Vuoto-Semi-Vuoto Dal 30 gennaio al 1° marzo 2025, Studio la Linea Verticale presenta "Vuoto-Semi-Vuoto", bi-personale di Ludovico Bomben e Francesca Dondoglio, realizzata in collaborazione con la Galleria Michela Rizzo. Parte del programma ufficiale di ArtCity Bologna e in concomitanza con ArteFiera, l’esposizione indaga il Vuoto come matrice generativa: un grembo fertile che, anziché esprimere assenza sterile, si rivela luogo di possibilità infinite. Il testo critico che accompagna la mostra è firmato da Giovanni Burali d'Arezzo. Abstract La mostra "Vuoto-Semi-Vuoto" è un dialogo tra assenza e presenza, tra ciò che è e ciò che può essere. La tripartizione del titolo suggerisce il ciclo generativo: il Vuoto come origine, i Semi come potenzialità latenti, e ancora il Vuoto come spazio pronto ad accogliere nuove forme di esistenza. Ludovico Bomben, con i suoi interventi che intrecciano geometria e luce, plasma il Vuoto come un equilibrio dinamico, dove il rigore delle forme lascia spazio al potenziale invisibile. Francesca Dondoglio, attraverso la forza del colore e della materia, rappresenta un Vuoto intimo, fatto di tracce latenti che germinano nella fragilità del tempo. Come sottolineato nel testo critico di Giovanni Burali d'Arezzo, il Vuoto emerge non come assenza sterile, ma come un organismo vivente, generativo e in divenire. Bomben e Dondoglio esplorano un Vuoto che non si limita a evocare l'assenza, ma diventa luogo di una trasformazione incessante e vibrante. In Bomben, il Vuoto assume la forma di fendenti e tensioni luminose, che plasmano uno spazio carico di energia e possibilità. In Dondoglio, il Vuoto vibra nei passaggi cromatici e materici, richiamando il dinamismo primordiale della creazione. Le loro opere, come evidenziato da Burali d’Arezzo, si collocano in quella dimensione fluida dove il Vuoto e il Pieno, lungi dall'essere opposti, si contaminano, generando nuove forme e significati. L'inaugurazione: L'inaugurazione si terrà giovedì 30 gennaio 2025, dalle 17 alle 21. Dettagli dell'evento: Titolo: Vuoto-Semi-Vuoto Artisti: Ludovico Bomben, Francesca Dondoglio Testo critico: Giovanni Burali d’Arezzo Durata: 30.01.2025 - 01.03.2025 Luogo: Studio la Linea Verticale, via dell’Oro 4b, Bologna In collaborazione con: Galleria Michela Rizzo Orari: Dal martedì al sabato, 15.30-19 Orari speciali durante ArtCity Bologna (6-9 febrraio): tutti i giorni 15.30-19, sabato apertura straordinaria fino a mezzanotte ArteFiera 2025: Studio la Linea Verticale sarà presente ad ArteFiera 2025 dal 7 al 9 febbraio con uno stand dedicato ad Alberto Colliva: Pad. 25, Stand A69, sezione Pittura XXI a cura di Davide Ferri. Connettiti con noi: Segui gli aggiornamenti e le anteprime della mostra sui social e condividi usando gli hashtag ufficiali: #studiolalineaverticale #vuotosemivuoto Per ulteriori informazioni: Studio la Linea Verticale | via dell’Oro 4b | Bologna info@studiolalineaverticale.it | +39 3920829558 / +39 335 604 5420 FB/IG/IN: @studiolalineaverticale
CRITICAL TEXT
di Giovanni Burali d'Arezzo
IL VUOTO E L’OMOGENEO Il gesto del braccio del polso della mano [dell’uomo primordiale] riconduce l’essenza spontanea della vita […] crea la «concezione» dell’omogeneo. (E. Villa, L’arte dell’uomo primordiale) L’esperienza artistica va intesa sia come processo creativo materiale che fa capo all’autore-artista, sia come esperienza-visione da parte dell’osservatore dell’esito di tale processo. Ciò, in vero, vale per ogni atto estetico, che prevede necessariamente la coesistenza, la coessenza, di questi due poli. Le opere di Dondoglio e Bomben esaltano al massimo grado questa polarità. Esse possiedono infatti un alto grado di autorialità (riconoscibilità di stile, di linguaggio) e nello stesso tempo suscitano un’esperienza estetica immediata, nel senso proprio di diretta, spersonalizzante, perché bypassa violentemente gli schemi cognitivi e psicologici ordinari; sono cioè diretti al nucleo più profondo della nostra sostanza emotiva, la parte più nascosta e remota. Tale auraticità ha a che fare con una peculiarità che li accomuna: inglobano entrambe il vuoto come fatto costitutivo della composizione e della concezione stessa dell’operare artistico. Abbiamo difronte dunque due svolgimenti differenti, due prassi, due linguaggi che esibiscono la stessa origine. Questa origine comune, il vuoto, si profila come un dinamismo originario, prodromico alla realtà delle forme simboliche. E questo è un fatto per nulla scontato. Secondo il senso comune, il vuoto è assenza; un’assenza determinata da qualcosa che la precede, che la genera. Vuoto è figlio di pieno. Pieno genera vuoto. Il vuoto è una qualità negativa del pieno. Esso è sterile, non genera, è cessazione dell’ente. Peraltro, noi contemporanei postmoderni ammettiamo un vuoto svilito, un vuoto esistenziale, un’ellissi nella continuità io-mondo. Concepiamo il reale come una disomogeneità, un accumulo di frammenti, una dimensione fratturata. Bomben e Dondoglio ci mostrano invece che il vuoto è il suo rovescio. Il vuoto è la condizione necessaria sempre agente perché la realtà assuma una forma. Gli attributi di assolutezza e totalità che siamo soliti assegnare al vuoto, in realtà designano il pieno assoluto e totale. Al cospetto delle opere esposte si fa strada cioè la sensazione dell’esistenza di una compattezza originaria protesa al suo costante superamento, un tutto-pieno dinamico e indistinto, rigonfio e gravido, che chiede uno sforzo per completarsi, un atto di forza, uno strappo energetico. Questa omogeneità primordiale (da intendere come primaria esperienza di piena compenetrazione di soggetto e oggetto, che poi è una definizione concisa dell’esperienza estetica generata dalle opere in mostra) è limitrofa di ciò che intendiamo qui per vuoto. Concettualmente, il vuoto e il tutto-pieno hanno margini porosi e sfrangiati, perciò si contaminano. L’indifferenziato li accomuna. Nell’omogeneo, come nel vuoto, l’energia agisce incessante e occupa ogni luogo. Là dove crediamo di scorgere una ferita, uno spessore di angoscioso nulla, un margine in cui precipita e collassa il mondo, non c’è che un pullulare di energia-materia, doloroso, sacrificale che sia il suo compimento. Nel corpo metamorfico di queste opere non ci sono lesioni. La dinamica della materia-energia allo stadio primario è massimamente fluida, le sue configurazioni sono vuote nel senso di nascenti, pre-psichiche, a-storiche, a-topiche, a-semantiche, quindi, potenzialmente piene, ipersignificanti. Il vuoto, non essendo negazione, è allora promessa, pre-sentimento, annuncio di un avvento. Le transizioni cromatiche di Dondoglio, esito di un intenso e travagliato processo creativo, sono energia in trasformazione e trasformante. I fendenti di Bomben sono strali, scariche elettriche, irruzioni energetiche. Che i quadri di Dondoglio siano parenti del misticismo medievale – si pensi alle vetrate delle cattedrali gotiche, per fare un esempio – e i lavori di Bomben dialoghino con la sfera del religioso contemporaneo, resta il fatto che in entrambi si compie (cioè contengono e trasmettono) una decisiva componente di vacuità, di vuotità, per come fin qui definita. Più esattamente, nei lavori in mostra il vuoto-omogeneo non è incanalato in forme generiche, ma in ur-forme, forme iniziali, in-formi, pre-formi in cui l’energia-materia non è già creatrice, ma creante. Essi perciò non sono il vuoto, ma ne sono la configurazione pura, cioè originaria; ne conducono, ne esibiscono occorrerebbe dire, la matrice, la discendenza. Il vuoto, che gli sta appiccicato come un’invisibile placenta, sopravvive, continua ad agire, detta lo schema, immette tensione. La composizione va così intesa come un organismo vivente in divenire, uno stadio metamorfico che, in quanto tale, reca in sé la revoca perentoria della propria immobilità essenziale. Questa tensione trasformativa dà vita in Bomben a un simbolismo primario, vidimato peraltro dal titolo assegnato alle composizioni, in cui la forza dirompente, lo strappo energetico, è oggettivata in scene ed elementi figurativi primordiali, ur-figure dall’elevato gradiente simbolico – la sfera, la goccia, il cielo stellato, la nebulosa celeste. Invece, i quadri di Dondoglio, non a caso privi di titolo, si muovono su una scena preconcettuale, protosimbolica; restituiscono l’iniziale scaturigine energetica sotto forma di luce-colore, la sua dinamica espansiva, la sua oscillazione incessante tra incandescenza e quiete, regolatrice dei meccanismi cosmici. In ultimo, queste opere, proprio perché hanno il seme del vuoto-omogeneo inscritto nel patrimonio genetico, non possono essere considerate tappe di un cammino verso qualcosa, non si inseriscono in un discorso, non contengono un messaggio parafrasabile, in altri termini non sono allegoria. Sono ab-solute, compiute in sé e per sé; non hanno un ante o un post; sono l’hic et nunc atemporale e durativo aperto alla possibilità infinita. Come insegnano i saggi taoisti – qui forse può avvenire l’incontro con la saggezza d’oriente – queste opere figlie del vuoto non conducono tracce d’alcun tipo (della storia, della biografia, del pensiero); tuttavia – e qui finisce il taoismo – risultano dense di residui psico-corporali, sono cioè l’esito di un processo creativo in cui il corpo dell’artista si disfa in una specie di sacrificio. In effetti, l’unità psicofisica dell’artista, il suo corpo, è in definitiva lo spazio privilegiato in cui si innescano i processi creativi. Ma così, il discorso si evolve. Operiamo una torsione dall’estetico all’estatico e, senza rendercene conto, ci troviamo nell’ambito del sacro.
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