A seguire il testo critico scritto dal Prof. Pasquale Fameli per la mostra su tre sedi che omaggia l'artista bolognese Alberto Colliva. Studio la Linea Verticale, la Galleria Forni e la Galleria Spazia si uniscono in una mostra unica che ripercorre la produzione dell'artista, a partire dagli anni del Battibecco, gli anni '60, sino alla più recente produzione del nuovo millennio. More...
L'INGANNO DELL'IMMAGINE
DI PASQUALE FAMELI
Pur nella varietà delle sue soluzioni, la ricerca artistica di Alberto Colliva risulta tutta improntata all’alternanza tra coesione e disgregazione dell’immagine, effettuata secondo scelte e modalità sempre opposte a quelle delle tendenze dominanti. È una riflessione sullo statuto dell’immagine svolta all’interno dell’immagine stessa, concepita come soglia di un’utopia del visibile. Il percorso di Colliva inizia ufficialmente nel giugno 1962 quando, insieme a Maurizio Bottarelli e Franco Filippi, apre a Bologna l’atelier del Battibecco, uno spazio autogestito grazie al quale i tre giovani pittori si impongono all’attenzione cittadina con proposte innovative, volte al superamento dell’Informale. Al materismo concentrato e denso della pittura informale Colliva oppone, già a partire dal 1960, un polimaterismo minimo, dimesso, scandito nei pesi e controllato nei dosaggi: l’artista ripensa infatti il supporto, la tela o la carta, come spazio antigravitazionale entro il quale orchestrare, senza schemi prestabiliti, accadimenti materici e frammenti oggettuali. Radicalizzate nei contrasti, queste entità levitano in una sorta di vuoto pneumatico negandosi a qualsiasi nesso o interferenza: solo pochi brandelli di nastro adesivo o di carta si incagliano talvolta tra gli elementi, segnati a più riprese da qualche perimetrazione incerta. Fissate da una colatura o liquefatte da una combustione, queste piccole tracce fenomeniche si spengono nell’inerzia di processi già conclusi, rivelando un trattamento corrosivo di corpi e superfici. Colliva supera così l’esperienza informale recuperando il collage dadaista, del quale rifiuta però il magnetismo coesivo: si assiste infatti a una dispersione spaziale degli elementi in gioco, trattati come detriti di un mondo disintegrato.
Dalla mostra: Gli arrabbiati del Battibecco. Bologna 1962. Studio la Linea Verticale.
Le opere esposte nel novembre 1963 alla galleria Duemila, in occasione della sua prima personale, testimoniano il passaggio dalla fase new-dada a una ricerca visiva incentrata su più complesse articolazioni diagrammatiche, proprio nel momento in cui l’arte tende a una sintesi netta, favorita dalla diffusione dello stile pop. Si tratta di scorci paesaggistici, architetture fantasmatiche bruciate da una luce che ne schiaccia i volumi e ne dissolve i contorni. Resistono a questo bagliore solo alcuni corpi materici incapaci di assurgere a una forma definita: corpi sospesi in un luogo imprecisato che rigetta ogni scansione e che ignora ogni legge di gravità. È uno spazio astratto e paratattico in cui tutti gli elementi coesistono senza obbedire a criteri di proporzione. Da questo momento in poi Colliva si affida esclusivamente alla pittura, avviando una personale ricerca sugli inganni della rappresentazione, svolta però sul confine tra illusione e rivelazione.
Le opere realizzate a partire dal 1965 mostrano architetture e impalcature più nette e definite che si staccano da fondali tersi e omogenei come per ‘cadere’ di fronte all’osservatore. Sono immagini che si basano sul contrasto percettivo generato dal rapporto tra la tridimensionalità dei volumi e l’imperturbabile piattezza dei piani d’appoggio. La progressiva solidificazione dei volumi di quegli edifici porta Colliva a un iperrealismo ambiguo ed enigmatico, volto a esplorare la consistenza di oggetti e superfici: ne scaturiscono perturbanti visioni ravvicinate di stipiti, cantieri interrotti, mura diroccate o macerie postatomiche suturate nelle aperture e negli interstizi. Sono le tappe di un percorso immaginario tra rovine erose e degradate, proiettate fuori dal tempo, bloccate in una luce indecifrabile. Questo mondo prospettico inquieto, accidentato e privo di atmosfera, risucchia l’osservatore in un labirinto plastico di geometrie nitide e imperfette negate a qualsiasi promessa di struttura. L’ambiguità di questi spazi così icastici, dettagliati eppure impraticabili, porta l’occhio a interrogarsi sulla propria efficacia conoscitiva, conducendolo però ad altezze vertiginose, dalle quali nulla è più familiare né riconoscibile.
Dalla mostra: Immateriale-Corpo-Immateriale. Studio la Linea Verticale.
L’artista non si esime infatti da una verifica interna ai procedimenti della pittura, secondo la tendenza analitica propria dei primissimi anni Settanta, ma la conduce in modo autonomo, focalizzandosi sulle logiche della rappresentazione anziché sulle componenti fisiche del pigmento e del supporto. È quindi un’operazione di ascendenza metafisica che si basa sulla capacità di accedere a un mondo immaginario mediante i segni e gli oggetti di quello consueto, mescolando dubbio e certezza, vertigine e stabilità, dinamismo e immobilità.
Proprio il quoziente metafisico di tale ricerca induce Colliva a sperimentare la citazione nel corso degli anni Ottanta, in sintonia con gli anacronismi tipici di quel decennio. Crani, bucrani, torsi, teste e panneggi di ascendenza michelangiolesca rimpiazzano le macerie delle tele precedenti per enunciare una rinnovata poetica del frammento. Accentuate nei valori plastici da un chiaroscuro dosato ma deciso, tali entità assumono una friabilità insolita, estranea alla loro natura materiale. Le teste sfregiate dei Re di Giuda staccate da Notre Dame diventano nell’immaginario dell’artista gli emblemi della deperibilità di ogni organismo, compreso quello dell’opera. Da questa visione nasce l’idea dello sgretolamento quale processo di analisi rivolto alla formazione dell’immagine. I soggetti di Colliva appaiono perciò incompiuti, scheggiati o sfarinati; sono esiti di un ‘non finito’ inverso, ribaltato, volto a traslare la fattura dei soggetti stessi: le pieghe dei panneggi tralucono come cellophane, mentre i volti appaiono stropicciati come fossero fatti di carta crespa. L’effetto metafisico passa così dall’ambiguità di spazi e prospettive all’alterazione della consistenza degli oggetti.
Dalla mostra: Segnali di vita Studio la Linea Verticale - Noto Temporary Space.
La monocromia di queste opere si richiama alla grisaille e svolge una funzione astraente: conferisce alle immagini una patina antica e le scaglia lontano, in un tempo remoto. Rafforza l’impresa anacronista anche la scelta di lavorare talvolta su formati connotati quali tondi, destinati in passato a ospitare l’iconografia della Madonna con bambino, e ovali, che rievocano le mandorle riservate alle effigi del Cristo o della Vergine in Maestà. Allo stesso periodo risale anche un ciclo di piccole tele incentrate sull’elaborazione di una scrittura immaginaria che reiventano un passato ancora più lontano: queste tele appaiono infatti come steli graffite da misteriosi alfabeti, epigrafi di un mondo ignoto che recano forse verità irrivelabili. Sono codici dall’origine imprecisata che fanno pensare alla presenza di colonie aliene presso arcaiche civiltà scomparse. All’ambiguità delle costruzioni spaziali e all’alterazione della consistenza degli oggetti subentra l’indecifrabilità dei messaggi linguistici.
Dalla mostra: Alberto Colliva - L'inganno dell'immagine. Studio la Linea Verticale.
Ma è soprattutto negli anni Novanta che Colliva porta a maturazione il processo di destrutturazione dei soggetti, giungendo spesso alla loro più radicale disintegrazione: dettagli di ieratici volti maschili e scorci di paesaggi brulli si dissolvono sotto l’addensarsi di una nebbia sottile, mentre i teschi si sgretolano o si polverizzano, rivelando il tono neutro e asettico del fondale. L’artista punta pertanto alla decostruzione dell’illusorietà a lungo esplorata: sottrae consistenza ai volumi, corrode le giunture, screpola la pelle dei soggetti, ma senza mai smarrire l’appiglio del modellato, sussulto di un’immagine che chiede ancora di essere tale. È come se Colliva volesse ora svelare il trucco, ricordarci che si tratta di un inganno, riportarci alla realtà del processo visivo anziché perpetuarne l’illusione. A questo servono allora le ‘porte’ dipinte a più riprese nel corso degli anni e soprattutto in quelli più recenti: ad accedere al retro delle sue immagini, a suggerirci che la rappresentazione è un meccanismo percettivo da accettare e da smentire, da subire e smascherare di continuo, fintanto che l’arte ci darà gli occhi per vederla.
Dalla mostra: Alberto Colliva - L'inganno dell'immagine. Studio la Linea Verticale.
ALBERTO COLLIVA L’inganno dell’immagine Testo critico di Pasquale Fameli
INAUGURAZIONE 30 SETTEMBRE H 18
STUDIO LA LINEA VERTICALE
Fino al 04.11.2023 Via dell’Oro 4B | Bologna (BO)
ORARI Dal Martedì al Sabato 15.30-19
Gli altri giorni e orari su appuntamento www.studiolalineaverticale.it info@studiolalineaverticale.it
+39 392 0829558 | +39 335 6045420
in | fb | ig: @studiolalineaverticale
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GALLERIA SPAZIA
Fino al 21.10.2023 - Via dell’Inferno 5 | Bologna (BO) - Dal Martedì al Sabato 15.30-19.30 La mattina su appuntamento - www.galleriaspazia.com info@galleriaspazia.com +39 051 220184 ig: @galleriaspazia
GALLERIA FORNI
Fino al 07.10.2023 - Via Farini 26/F | Bologna (BO) - Dal Martedì al Venerdì 10.30-13 e 15-19 Sabato 10.30-13 e 16-19 - www.galleriaforni.com forni@galleriaforni.com +39 051 231589 fb | ig: @galleriaforni
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